Faceva un caldo tremendo. Il lupo, stremato dalla calura, boccheggiava. E guadagnò la sponda sinistra del torrente per spegnere la sete, constatando con rabbia che le acque non scorrevano ricche e limpide come al solito. La calura era asfissiante e l’agnello, che aveva pur visto il lupo abbeverarsi da quel rivo, non seppe vincere la tentazione. Aveva molta sete anche lui e si posizionò cautamente più a valle, in sponda destra. Spinto dall’avidità, il lupo malvagio cercò la lite: “Perché con la tua cupidigia hai provocato questa secca? Mi lesini l’acqua da bere! E la intorbidi pure.” Rispose l’agnello tremando: “Come posso aver causato ciò che lamenti, lupo? L’acqua scorre da te alle mie sorsate!” Respinto dalla forza della verità, il lupo cambiò registro: “Sei mesi fa hai rifiutato di sederti al tavolo della pianificazione!”
Anche se tremava, l’agnello confidava nella sicurezza che gli dava la sua posizione, sull’altra sponda del torrente. E rispose fin troppo spavaldo: “Ma veramente… non ero ancora nato!” “Perdio! Tuo padre – sbraitò allora il lupo – non ne ha mia voluto sapere della pianificazione di bacino!”
Come andò a finire, lo sappiamo tutti. Quando il torrente è in secca, segnato soltanto da una minuscola linea d’acqua, il torrente si attraversa in un baleno. La geomorfologia fluviale non è una scienza inutile.
La favola di Fedro ha una morale certa: siano maledetti gli uomini che opprimono gli innocenti con falsi pretesti. E molte delle guerre del XXI secolo portano questo marchio. Nel mondo dei fiumi, ciò che accade a monte determina ciò che avviene valle; e non viceversa. Nessuno ne dubita, salvo riconoscere qualche situazione speciale, di norma localizzata, nota da secoli alla scienza idraulica. Qualcuno noterà che la risalita del cuneo salino ricade in questa casistica, perché il livello medio marino nell’Alto Adriatico è comunque cresciuto di una trentina di centimetri negli ultimi cent’anni. Ma è un caso particolare. Nelle siccità del XXI secolo, la colpa maggiore di chi sta a monte non è soltanto l’eventuale uso egoista dell’acqua – per esempio, a scopi energetici, turistici o ludici – ma anche l’inquinamento delle falde. E poco viene fatto per lenire questa piaga.
La Terra è povera d’acqua. L’apparenza inganna. Le immagini satellitari testimoniano di una Terra azzurra, fotografano e reclamizzano un mondo acquatico. In realtà, il volume dell’acqua terrestre è minuscolo rispetto al volume solido del pianeta. Lo sappiamo da tempo, giacché il primo a ragionare sul bilancio idrico della Terra fu Copernico che, a metà del XVI secolo, provò a calcolare i bilanci di massa del Sistema Solare. E giunse a una giusta conclusione: nel pianeta Terra c’è più terra che acqua, anche se, visto in superficie, appare il contrario. In volume, l’idrosfera terrestre è circa l’otto per mille della Terra solida e, soprattutto, le acque dolci – al netto dei ghiacci più o meno eterni – sono soltanto lo 0,80 per cento dell’idrosfera. E, in massima parte, l’acqua dolce sta nel sottosuolo: 11 su 11,1 milioni di chilometri cubi. Le acque di falda sono preziose.
Per storia geologica e clima comunque ben lungi dall’aridità, la pianura padana galleggia sull’acqua. Pesticidi, sversamenti industriali e reflui urbani rendono indisponibile agli usi di valle ancora troppa acqua che, soprattutto in condizioni di prolungato stallo nivo-pluviometrico, sarebbe preziosa. Invece di moltiplicare i tavoli tecnici, la politica europea dovrebbe mettere in pratica quanto suggerito dalla Relazione Seeber su come affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell’Unione Europea, approvata dal Parlamento Europeo il 22 settembre 2008. Per esempio, applicare la tredicesima raccomandazione del Parlamento europeo, quella che sottolinea “il ruolo svolto dai programmi ambientali nel quadro del secondo pilastro della Pac (Politica Agricola Comune, ndr) nello stabilire incentivi per prassi agricole volte a proteggere la sostenibilità e la purezza delle risorse idriche”. Ce lo ha detto l’Europa, forse in modo meno convincente di altre più solide raccomandazioni, consigli che non si possono rifiutare.
Tra le pieghe del geniale antropomorfismo simbolico che alimenta la favola di Fedro, alberga comunque un dubbio. Non avrebbe fatto meglio il gregge del babbo del povero agnellino ad aprire, a suo tempo, un dialogo con il branco dei lupi di montagna sulla pianificazione e la gestione delle risorse idriche, magari con l’aiuto della mediazione di qualche orso vegano? E riflettere su alcune certezze, anche se la pianura padana galleggia sull’acqua. Per esempio, la convinzione che i metodi irrigui introdotti nel XIX secolo da Camillo Benso Conte di Cavour, padre del moderno barolo sempre sia lodato, e da Quintino Sella, ingegnere idraulico, siano un invariante della storia, un perenne modello di produttività, benessere e sviluppo.
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